Rispondono almeno in parte, diciamo la verità, al desiderio di molti pazienti con ipoacusia di poter impiegare una protesi acustica il meno visibile ed il più efficace possibile. Rientrano in un moderno approccio di correzione funzionale alternativa in alcuni tipi di ipoacusia mediante l’inserimento chirurgico, generalmente nell’orecchio medio, di dispositivi che amplificano il suono od amplificano le vibrazioni meccaniche della catena degli ossicini.
Uno dei primi dispositivi messi a punto è il BAHA: Bone Anchored Hearin Aid; questo dispositivo in effetti non viene impiantato nell’orecchio medio ma esternamente, nella squama dell’osso temporale ed è un dispositivo “semi-impiantabile”. Consta di due parti adese l’una all’altra: la parte esterna è un processore che capta i suoni e li trasforma stimoli vibratori; questi stimoli, attraverso un trasduttore a vite in titanio che viene ancorato chirurgicamente sulla superficie dell’osso temporale, al di sopra e dietro l’orecchio, sollecitano l’apparato sensoriale dell’orecchio interno. Il percorso simula perfettamente quello della fisiologica percezione uditiva per via ossea, quindi quello che si esplora in audiometria tonale tramite il vibratore osseo appoggiato sull’osso mastoideo, oppure quello che sfrutta l’apparecchio acustico tradizionale per via ossea ad occhiale. E’ in effetti un dispositivo che, nonostante il suo ingombro, trova ancora indicazione in esiti di otite cronica, o esiti di interventi di timpanoplastica o, più ancora, in quadri malformativi dell’orecchio esterno (atresie, mancato sviluppo ed altre); il requisito di base comunque è che all’esame audiometrico la conduzione per via ossea sia sufficientemente conservata e quindi che si tratti di ipoacusie trasmissive o miste prevalentemente trasmissive.
Altra modalità di aiuto, alternativo al tradizionale apparecchio acustico, è la protesi impiantabile proprio nell’orecchio medio. Questo tipo di dispositivo impiantabile non sfrutta la conduzione fisiologica per via ossea, ma la conduzione per via aerea che come si sa si dispiega lungo tutto l’apparato di trasmissione con una serie di eventi meccanici vibratori dalla membrana timpanica alla catena degli ossicini fino a raggiungere ed impegnare liquidi endococleari. Vari modelli e modalità si sono succeduti negli anni ma l’esperienza principale che ha dato forza a questa strategia è quella che risale al 2001 (“Vibrant”) in cui un piccolo trasduttore vibratorio è stato impiantato e reso solidale ad uno dei tre ossicini, e precisamente all’incudine, affinché questa potesse trasferire gli stimoli vibratori all’ossicino successivo, cioè alla staffa e quindi tramite la finestra ovale ai liquidi endococleari. In tal modo si è andati ad emulare il trasferimento meccanico fisiologico del suono dall’orecchio medio all’orecchio interno. Si tratta di una protesi “semi-impiantabile” e quindi era necessario (ed ancora oggi lo è anche per qualcuno dei dispositivi semi-impiantabili messi a punto successivamente) un piccolo processore esterno accoppiato ad una batteria posizionato in una nicchia ossea sotto i capelli al di sopra ed indietro rispetto all’orecchio, con il compito di raccogliere i suoni, amplificarli e trasferirli alla bobina impiantata. Il dispositivo trova ancora indicazione in alcuni casi di ipoacusia neurosensoriale o di tipo misto, laddove il paziente abbia preferito un approccio diverso dalla protesizzazione convenzionale.
Apparecchi “totalmente impiantabili” sono stati proposti negli anni successivi, del tipo “Esteem Envoy” oppure “Carina” che prevedono in vario modo l’impianto chirurgico di tutti i componenti del dispositivo: processore, trasduttore e batteria ricaricabile; il trasduttore piezoelettrico può, come nel caso di Envoy, essere doppio uno sul martello e l’altro sulla staffa. Le indicazioni sono simili a quelle del capostipite Vibrant ma rispetto a questo presentano il vantaggio quasi solo estetico della totale impiantabilità.
L’approccio chirurgico per tutti questi tipi di protesi, semi-impiantabili o totalmente impiantabili, presenta difficoltà differenti e probabilità di successo variabili. Il tutto va valutato attentamente dal chirurgo otologo che deve effettuare una scrupolosa analisi delle caratteristiche della candidatura del paziente, lasciando sempre aperta la possibilità di un moderno approccio protesico, non chirurgico.
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